"Ci aspettiamo una moderata crescita per il futuro, crediamo che il mercato immobiliare inizi a stabilizzarsi..........La nostra stima è che non ci sono indicazioni per ora  che le perdite del mercato subprime si siano estese a tutto il mercato dei mutui che sembra ancora essere sano.... Ben Bernanke (presidente della FED) agosto 2007 HAHAHAHA!!!

martedì 7 gennaio 2014

Splendida intervista tratta da L'indipendenza.com


Hoppe sulla crisi: piccoli Stati indipendenti, buona moneta, meno tasse

Wiwo: Professor Hans Hermann Hoppe, attualmente interventi statali nell’economia hanno certe conseguenze. Molti cittadini desiderano più Stato e meno mercato. Lei come lo spiega?
Hoppe: La storia mostra che le crisi alimentano la crescita dello Stato. Questo diventa particolarmente evidente con guerre o attacchi terroristici. I governi sfruttano quelle crisi, per atteggiarsi come risolutori di crisi. Questo vale anche per la crisi finanziaria. Ha dato a governi e banche centrali un’ottima occasione per intervenire in modo ancora più massiccio nell’economia. I rappresentanti dello Stato sono riusciti a riversare la colpa della crisi sul capitalismo, i mercati e la cupidigia.
Wiwo: L’economia mondiale non sarebbe, senza gli interventi delle banche centrali o dei governi in forma di iniezioni di liquidità e programmi di congiuntura, precipitata in una profonda depressione come negli anni ’30?
Hoppe: È una falsa credenza, secondo la quale governi e banche centrali potrebbero aiutare, con programmi, l’economia a rimettersi in piedi. Programmi “congiunturali” c’erano già negli anni ’30 negli USA, ma la grande depressione finì appena dopo la Seconda guerra mondiale. Negli anni precedenti, la disoccupazione negli USA non scese mai oltre il 15%. Le banche fecero incetta di denaro della banca centrale, anziché concedere prestiti. Una cosa simile accade oggi. Il denaro non raggiunge i mercati dei prodotti reali e i prezzi salgono di poco. Questo non significa, però, che non ci sia inflazione. Basta vedere lo sviluppo dei mercati azionari, per rendersi conto di dove confluisca il denaro. L’inflazione è nei mercati finanziari.
Wiwo: Il rialzo dei mercati azionari è anche una conseguenza degli interessi reali negativi, che rendono poco attrattivo il risparmio…
Hoppe: … e in questo modo mettono in pericolo il nostro benessere. Un’economia può crescere solo se gli uomini risparmiano di più e consumano di meno. Senza risparmi non ci sono investimenti di portata.
Wiwo: Perché?
Hoppe: Le faccio un esempio semplice. Si immagini Robinson Crusoe e Venerdì sulla loro isola solitaria. Se Robinson pesca dei pesci e non li consuma subito, ma li dà a Venerdì, quest’ultimo può mangiare per alcuni giorni e investire il suo tempo a finire di tessere una nuova rete. Con questa rete Venerdì può pescare pesci, per mangiarli e ridarne una parte a Robinson. Entrambi stanno meglio di prima. Cosa succede, però, se Robinson non risparmia, bensì mangia da solo tutti i pesci e dà a Venerdì un certificato, che egli potrà riscuotere in pesci? Quando vorrà riscuotere, Venerdì si renderà conto che non ci sono più pesci. Dovrà procurarsi da solo e velocemente del cibo e non avrà tempo di finire la nuova rete, che rimane una rovina d’investimento, un investimento sbagliato insomma. Il tenore di vita di Robinson e Venerdì cala.
Wiwo: Cosa ha a che fare tutto ciò con la nostra situazione attuale?
Hoppe: Qualcosa di simile accade nelle nostre macroeconomie. La creazione di credito dal nulla comprime artificialmente gli interessi verso il basso e scatena investimenti, che non hanno una contropartita in risparmi. A causa degli interessi bassi si risparmia poco e si consuma sempre di più, così come Robinson non risparmia, bensì mangia tutti i pesci. Il consumo incrementato toglie risorse agli investimenti, i progetti non possono essere portati a compimento, le banche tagliano i crediti, i progetti vengono liquidati, l’economia precipita nella crisi.
Wiwo: Questo significa che siamo minacciati dal prossimo crash?
Hoppe: Le banche centrali cercano di porre un termine alla crisi con ancora più crediti e più denaro, sebbene essa sia sorta da troppo denaro e troppo credito. Quindi il prossimo crash sarà ancora più violento del precedente.
Wiwo: I guardiani della moneta promettono di frenare la liquidità, prima che la situazione sia compromessa.
Hoppe: Può essere possibile, teoricamente. Le banche centrali potrebbero ridurre la quantità di denaro, vendendo titoli di Stato. Solo che nella pratica ciò non è mai accaduto. Infatti ciò contraddice la strategia delle banche centrali, di tenere gli interessi più bassi possibili…
Wiwo: …e di creare inflazione?
Hoppe: Le banche centrali cercano di salvare il sistema del denaro cartaceo con tutti i mezzi. Temo che il passo successivo sarà l’eliminazione dell’ancora esistente competizione delle monete fiat attraverso una centralizzazione bancaria e del denaro. Alla fine ci potrebbe essere una sorta di banca centrale globale con una moneta comunitaria globale, nella quale confluirebbero Euro, Dollaro e Yen. Liberata dalla competizione con altre monete, questa banca avrebbe ancora più margine di gioco per l’inflazione. La crisi non finirebbe, bensì ritornerebbe a livello globale e con tutta veemenza.
Wiwo: Alcuni economisti esigono di legare le mani alle banche centrali e di introdurre di nuovo il Gold Standard.
Hoppe: Governi e banche centrali faranno resistenza. Tutti i monopolisti statali monetari e le banche centrali non hanno interesse a perdere il loro potere. Quindi reputo come non realistico un ritorno volontario al Gold Standard.
Wiwo: Che dire della Cina, il Paese che vorrebbe stabilire lo Yuan come moneta-guida?
Hoppe: Per la Cina sarebbe un’abile mossa di scacchi, garantire la copertura dello Yuan con l’oro, scalzando dal trono il Dollaro. Con uno Yuan coperto dall’oro i giorni dell’egemonia americana e del Dollaro sarebbero contati. Per questo l’occidente farà di tutto per impedirlo.
Wiwo: In Europa i governi e la banca centrale si sono posti al di sopra della legge e del diritto per il salvataggio dell’Euro, senza che ci sia stato un grido d’allarme dei cittadini in Germania.
Hoppe: I Tedeschi si lasciano dettare dall’America ciò che devono fare o lasciare. L’America ha interesse che l’Euro rimanga, perché è una concorrenza più comoda di una con 17 monete. Per far valere i propri interessi con pressione politica, l’America si deve rivolgere a una sola banca centrale: la BCE.
Wiwo: Il salvataggio dell’Euro e la crescente cessione di competenze a Buxelles suscitano malessere nella popolazione. Le élite politiche hanno sovraffaticato la disponibilità d’integrazione dei cittadini?
Hoppe: Gli Stati hanno generalmente la tendenza a centralizzare il loro potere. In Europa la cessione di competenze a Bruxelles dovrebbe eliminare la concorrenza dei Paesi tra loro. Il sogno degli statalisti è uno Stato mondiale con tasse e regole uniformi, che toglie ai cittadini la possibilità di migliorare il proprio tenore di vita, emigrando. I cittadini riconoscono che l’Unione Europea, in fondo, è un apparato globale di distribuzione. Questo fomenta il malcontento e attizza l’invidia dei popoli l’uno contro l’altro.
Wiwo: cosa si può fare contro?
Hoppe: Per la libertà sarebbe la cosa migliore, che l’Europa si dividesse in tanti piccoli Stati. Questo vale anche per la Germania. Più è piccola l’espansione territoriale di uno Stato, più facile è emigrare e più gentile deve essere lo Stato verso i suoi cittadini, per mantenere quelli produttivi.
Wiwo: Lei vuole un ritorno ai piccoli Stati ottocenteschi?
Hoppe: Guardi lo sviluppo economico-culturale. Nel XIX° secolo quella che oggi è la Germania era la regione-guida dell’Europa. Le più grandi performance culturali nacquero in un periodo, in cui non c’era un grande Stato centrale. I piccoli territori erano in un’intensa concorrenza tra loro. Ognuno voleva avere le migliori biblioteche, teatri e università. Questo portò avanti lo sviluppo culturale e intellettuale molto di più che, per esempio, in Francia, all’epoca già centralizzata. Lì si concentrava tutto a Parigi, mentre il resto del Paese affondava nel buio culturale.
Wiwo: Ma il commercio libero rischia, con secessioni e mini-Stati, di rimanere per strada.
Hoppe: Al contrario: piccoli Stati devono spingere il commercio. Il loro mercato non è abbastanza grande e loro troppo poco diversificati, per vivere in modo autarchico. Se non commerciano liberamente tra loro, muoiono in una settimana. Al contrario, un grande Stato come gli USA può approvigionarsi da solo e quindi non sono dipendenti dallo scambio con altri Stati. Oltretutto, piccoli Stati sovrani non possono scaricare le proprie colpe (e i propri debiti) sugli altri, quando qualcosa non funziona. Nella UE Bruxelles viene fatta responsabile per tutti i malfunzionamenti possibili. In piccoli Stati indipendenti risponderebbero i governi stessi per i malfunzionamenti nei propri Paesi. Questo ha un effetto pacificatore dei popoli tra loro.
Wiwo: Piccoli Stati avrebbero monete proprie. Sarebbe la fine dell’integrazione dei mercati finanziari.
Hoppe: Piccoli Stati non possono permettersi monete proprie, perché questo farebbe salire i costi per le transazioni. Punterebbero a una moneta comune, indipendente e non influenzata dai singoli governi. Con grande probabilità si accorderebbero su moneta solida come oro o argento, il cui valore verrebbe stabilito dal mercato. Piccoli Stati portano a meno Stato e più mercato nel sistema monetario.
Wiwo: Se l’Europa diventasse un agglomerato di piccoli Stati, non avrebbe economicamente nulla da dire in un contesto internazionale di Paesi grandi.
Hoppe: Come fanno, allora, Svizzera, Liechtenstein, Montecarlo e Singapore a essere più avanti di tutti gli altri? La mia impressione è che questi Paesi siano più benestanti della Germania e che i Tedeschi erano più benestanti prima di invischiarsi nell’avventura dell’Euro. Dovremmo allontanarci dalla rappresentazione, secondo cui l’economia avverrebbe tra Stati. L’economia avviene tra uomini e imprese, che producono qui e là. Non concorrono Stati con altri Stati, bensì imprese con altre imprese. Non la grandezza di uno Stato ne determina il benessere, bensì la capacità dei propri cittadini.
Wiwo: Indipendentemente dal numero dei territori sovrani si pone la domanda, di quanto Stato ha bisogno una società. Liberali classici esigono uno Stato da guardiano notturno, che si limiti alla garanzia di libertà, proprietà e pace. Lei non vuole più alcun Stato. Perché?
Hoppe: I liberali classici sottovalutano la tendenza espansiva, inerente allo Stato. Chi stabilisce, poi, quanti poliziotti, giudici e soldati – pagati con le tasse – ci sarebbero? Nel mercato, basato sul libero scambio e pagamento di beni e prestazioni, la risposta è semplice: viene prodotto tanto latte quanto viene richiesto e venduto al prezzo, che i consumatori sono disposti a pagare. Il governo di uno Stato, però, risponderà alla domanda “quanto” in questo modo: più soldi abbiamo, più possiamo fare. Potendo costringere i cittadini a pagare tasse, il governo pretenderà sempre più soldi e fornirà servizi sempre più scadenti. L’idea di uno Stato minimale è una costruzione concettualmente sbagliata. Stati minimali non possono mai rimanere minimali.
Wiwo: Ma chi dovrebbe proteggere la proprietà e garantire il diritto, se non lo Stato?
Hoppe: Se lo Stato protegge la proprietà con poliziotti, allora riscuote tasse per questo. Le tasse, però, sono un esproprio. Lo Stato diventa, così, un espropriante protettore della proprietà. E uno Stato che vuole garantire legge e ordine, ma può emanare leggi, è un tutore della legge che viola la legge.
Wiwo: A chi vuole affidare il compito di tutelate diritto e proprietà?
Hoppe: Le imprese dovrebbero assumersi quei compiti, capaci e che competerebbero sul mercato così come per tutti gli altri beni e prestazioni. Ogni società è contraddistinta da conflitti di proprietà, ma non deve essere lo Stato a risolverli. Si immagini una società senza Stato. In un ordine naturale di quel genere ogni persona è da considerare innanzitutto come proprietaria di tutte le cose, che lei controlla. Chi afferma il contrario, deve dimostrarlo. In una società simile i conflitti vengono appianati da autorità naturali. In comunità di paese queste sono persone, rispettate da tutti. Esse fungono da giudici. Se sorgono conflitti tra persone di comunità differenti, che si rivolgono a giudici differenti, allora il conflitto è da appianarsi sul livello successivo. L’importante è che nessun giudice abbia il monopolio del diritto.
Wiwo: suona piuttosto irrealistico…
Hoppe: … ma non lo è. Guardiamo un po’ come vengono appianati oggi i conflitti, che superano i confini. A livello internazionale regna una sorta di anarchia del diritto, dato che non c’è uno Stato mondiale regolatore. Cosa fanno i cittadini del triangolo di Basel, quindi Tedeschi, Francesi e Svizzeri, se sorgono conflitti tra loro? Ognuno si può rivolgere inizialmente alla propria giurisdizione. Se non si trova un accordo, vengono chiamati arbitri indipendenti, che emettono un verdetto. Si arriva per questo a più conflitti tra i cittadini di questa regione che tra quello di Düsseldorf e Colonia? Non ne ho mai sentito parlare. Questo dimostra che è possibile risolvere pacificamente vertenze interpersonali, senza che lo Stato sia monopolista del diritto.
Wiwo: Un sistema di diritto senza Stato potrebbe potrebbe superare l’immaginazione della maggior parte dei cittadini.
Hoppe: Perché? In fondo sono idee facilmente comprensibili, che sono state scacciate dai fautori del potere statale nel corso dei secoli. È stato un errore evoluzionistico, quello di sostituire la libertà degli uomini per la scelta di legiferazione e di applicazione del diritto con un monopolio statale del diritto, cosicché in seguito a elezioni generalistico-universali andassero al potere dei bifolchi, che sfruttassero poi il potere legiferatore a loro dato, per arricchirsi della proprietà di coloro che avessero più di loro. Al contrario un capoclan, che viene eletto volontariamente come mediatore per controversie, potrebbe essere un uomo ricco, che non ha motivo di mirare alla proprietà altrui. Altrimenti non verrebbe eletto come moderatore.
Wiwo: Come vuole impedire, in un mondo senza ordinamento statale, che i diritti alla libertà come quello all’incolumità vengano calpestati?
Hoppe: Le faccio una controdomanda: al presente vengono impedite quelle infrazioni dall’esistenza degli Stati? No. Ci saranno sempre zone in cui avvengono omicidi colposi e volontari, fino a quando gli uomini saranno uomini. Gli Stati hanno migliorato in qualche modo la situazione? Ho i miei dubbi in proposito. Anche gli Stati vengono condotti da uomini. Ma, a differenza delle comunità senza Stato, i capi di Stato hanno il monopolio – anche se temporaneo – del potere. Ciò non le rende peggiori di quanto lo sarebbero già? Gli uomini non sono angeli, bensì portano spesso qualcosa di maligno sullo scudo. Perciò la miglior difesa della libertà è quella di non procurare a nessuno un monopolio. Non si materializzano esseri angelici, appena c’è un monopolio.
Wiwo: Ammettiamo che noi la seguissimo e affidassimo i classici compiti dello Stato, come la tutela della proprietà e la giurisprudenza a organizzazioni private. Non ci troveremmo di fronte al problema, che anche in queste organizzazioni personaggi loschi prenderebbero il comando e formerebbero un cartello a danno dei cittadini?
Hoppe: Il pericolo che si arrivi a questo è minimo. Cartelli possono sopravvivere a lungo termine solo se lo Stato li protegge. Imprese formano cartelli, per spartirsi il mercato. Di questo approfittano i membri più deboli del cartello. Al contrario, quelli più forti possono assicurarsi grosse fette di mercato fuori dal cartello. Non appena se ne rendono conto, il cartello si disgrega.
Wiwo: Fino a quel momento, però, i fratelli del cartello sfruttano i cittadini.
Hoppe: Adesso che fa, lei si suicida per paura della morte? Se lei affida il compito allo Stato, esso ha dall’inizio un monopolio, di cui può abusare, per limitare la libertà dei cittadini.
Wiwo: Come pensa di trattare il problema delle esternalità in una società privata e senza Stato? Chi dovrebbe occuparsi, per esempio, che l’artefice di danni ambientali si sobbarchi anche i costi?
Hoppe: Il problema è facile da risolvere. Basta dare a chi è stato danneggiato il diritto di fare causa. Così esso può citare in giudizio il danneggiatore e chiedere il risarcimento dei danni. Nel XIX° secolo era usuale, che i cittadini citassero in giudizio le imprese, se queste avessero danneggiato le loro proprietà (dei cittadini) con danni ambientali. Più tardi lo Stato ha limitato questo diritto, per proteggere determinati settori industriali. È decisivo il fatto che il diritto a fare causa venga chiaramente ordinato. Il principio di base deve recitare: chi arriva primo ha la proprietà. Per esempio: se un’impresa fa uno stabilimento con elevata emissione di agenti inquinanti vicino a un centro abitato già esistente, gli abitanti hanno diritto di fare causa all’impresa. È un principio semplice, che capiscono anche i bambini. In America, al tempo dei cercatori d’oro, si svilupparono, senza partecipazione dello Stato, criteri, secondo i quali i cercatori d’oro delimitavano il proprio terreno. All’epoca c’erano persone, che registravano le cause. Ciò significa: questioni di proprietà si possono risolvere senza lo Stato.
Wiwo: lei, però, non può organizzare la difesa del Paese senza lo Stato. Nessuno può essere escluso dalla sicurezza, che un esercito garantisce. Quindi c’è bisogno dello Stato, per far partecipare i cittadini, con le tasse, ai costi dell’esercito.
Hoppe: Chi Le dice che tutti i cittadini vogliano essere difesi? Viviamo in un mondo della scarsità. Denaro, che viene speso per la difesa del territorio, non è più disponibile per altri scopi. Alcuni uomini non vogliono affatto essere difesi, bensì volano più volentieri, con i loro soldi, in vacanza alle Hawaii. In caso di attacco dall’esterno, probabilmente essi prenderebbero la decisione di lasciare il Paese e non avrebbero bisogno della difesa di un esercito. Lo Stato non ha alcun diritto di costringerli al finanziamento di forze armate tramite tasse. In una società senza Stato, gli uomini possono, se vogliono, formare piccole unità come le comunità di paese e difendersi da soli o ingaggiare servizi di sicurezza privati. Avrebbero la libertà di decidere da soli, per cosa spendere o loro soldi.


*Traduzione di Diego Tagliabue. Intervista della Wirtschaftswoche con il libertario e anarcocapitalista Hans-Hermann Hoppe

giovedì 14 giugno 2012

Ancora Nigel Farage sul salvataggio delle banche spagnole "I Geni del reciproco indebitamento"




 Qui il link all'intervento completo senza sottotitoli http://www.youtube.com/watch?v=TN_1mF-3JTI&feature=player_embedded

e la trascrizione


Transcript:

"Another one bites the dust. Country number four, Spain, gets bailed out and we all of course know that it won't be the last. Though I wondered over the weekend whether perhaps I was missing something, because when the Spanish prime minister Mr Rajoy got up, he said that this bailout shows what a success the eurozone has been.

And I thought, well, having listened to him over the previous couple of weeks telling us that there would not be a bailout, I got the feeling after all his twists and turns he's just about the most incompetent leader in the whole of Europe, and that's saying something, because there is pretty stiff competition.

Indeed, every single prediction of yours, Mr Barroso, has been wrong, and dear old Herman Van Rompuy, well he's done a runner hasn't he. Because the last time he was here, he told us we had turned the corner, that the euro crisis was over and he hasn't bothered to come back and see us.

I remember being here ten years ago, hearing the launch of the Lisbon Agenda. We were told that with the euro, by 2010 we would have full employment and indeed that Europe would be the competitive and dynamic powerhouse of the world. By any objective criteria the Euro has failed, and in fact there is a looming, impending disaster.

You know, this deal makes things worse not better. A hundred billion [euro] is put up for the Spanish banking system, and 20 per cent of that money has to come from Italy. And under the deal the Italians have to lend to the Spanish banks at 3 per cent but to get that money they have to borrow on the markets at 7 per cent. It's genius isn't it. It really is brilliant.

So what we are doing with this package is we are actually driving countries like Italy towards needing to be bailed out themselves.

In addition to that, we put a further 10 per cent on Spanish national debt and I tell you, any banking analyst will tell you, 100 billion does not solve the Spanish banking problem, it would need to be more like 400 billion.

And with Greece teetering on the edge of Euro withdrawal, the real elephant in the room is that once Greece leaves, the ECB, the European Central Bank is bust. It's gone.

It has 444 billion euros worth of exposure to the bailed-out countries and to rectify that you'll need to have a cash call from Ireland, Spain, Portugal, Greece and Italy. You couldn't make it up could you! It is total and utter failure. This ship, the euro Titanic has now hit the iceberg and sadly there simply aren't enough life boats."

lunedì 11 giugno 2012

Perché gli Economisti Sbagliano

Perché gli Economisti Sbagliano: di Roberto Gorini

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Oggi gli economisti governano il mondo. Sono a capo delle Banche Centrali, e sempre più sono a capo anche delle istituzioni pubbliche e dei governi, come in Italia. La crisi economica è oggi il principale problema, e quindi è naturale che siano chiamati gli “esperti” a risolverla, ma è interessante scoprire che in realtà è proprio colpa loro e dei loro inefficaci modelli matematici se oggi ci troviamo in queste condizioni.

L’Economia è la scienza più inesatta che ci sia, e forse non molti sanno che non tutti gli economisti la pensano allo stesso modo, anzi alcuni sono a poli diametralmente opposti. Ecco perché in campo economico si sente dire tutto e il contrario di tutto e le ricette si faticano a trovare. Ecco il perché.

La maggior parte degli economisti, quelli per intenderci che siedono nelle aule del potere, trattano l’Economia come una scienza naturale, al pari della fisica e della chimica, ed elaborano tutta una serie di complicati modelli matematici per prevedere il futuro economico. Niente di più sbagliato, l’Economia deve essere trattata come una scienza umana che si occupa dell’uomo e della sua vita sociale. La differenza è abissale, perché da un lato si cerca di prevedere il comportamento economico dell’uomo come se l’uomo fosse un robot, che agli stessi stimoli risponde sempre allo stesso modo, dall’altro si studia l’uomo come soggetto creativo unico e irripetibile che coopera con gli altri per raggiungere i propri fini.

Da un lato quindi ci sono modelli matematici da applicare e dall’altra lo studio del metodo con il quale l’uomo opera per realizzare i suoi fini. La differenza è tra costruire a tavolino una città ideale in base a calcoli ingegneristici e invece agevolare lo sviluppo spontaneo di un aggregato urbano: il quartiere Zen di Palermo contro il centro di Lucca. E’ come voler inventare una lingua nuove sulla base di conoscenze scientifiche e invece lasciar nascere spontaneamente un metodo per comunicare: l”Esperanto contro l’Inglese. Queste sono le grandi differenze tra gli economisti “mainstream”, e quelli all’opposizione.  Io ovviamente parteggio per la seconda fazione, ahimè minoritaria, ma visti i risultati della prima in grande crescita !

Gli economisti al potere, o consulenti del potere, non hanno previsto la crisi, e questo è un dato di fatto, mentre “gli altri” avevano ampiamente previsto l’imminente sfascio della nostra fittizia economia, e per questo sono anche stati tacciati di catastrofismo, ma perché ? I primi sostengono che è difficile prevedere l’andamento economico perché l’uomo è irrazionale. No ! L’uomo è imprevedibile, non irrazionale e i modelli matematici utilizzati per prevedere il futuro economico non sono sbagliati, sono semplicemente inadatti. Sono utilizzabili per calcolare la portanza di un edificio, il volo di un aereo o l’interesse di un mutuo calcolato con il metodo francese, ma non per stabilire l’attività umana.

Un esempio per comprendere quale sia l’errore di base nel quale si è caduti è quello del PIL, il Prodotto Interno Lordo. E’ un dato che non ci dice assolutamente nulla, eppure è considerato uno dei più importanti. E’ il volume globale delle attività economiche di un dato paese, ma non ci dice se le persone vivono meglio, sono più in salute e se in definitiva sono più felici. Il PIL può crescere perché si va in guerra, o perché si costruiscono case in cui nessuno andrà ad abitare (come in Cina oggi) o perché le persone spendono sempre di più per curarsi perché sono ammalate. I numeri non possono rappresentare lo condizione dell’essere umano!

Molto meglio l’approccio metodologico, quello alternativo, che studia gli elementi che l’uomo utilizza per cooperare, e il denaro, per esempio, è uno dei più importanti. Finalità di questo studio è il fatto di comprendere tali elementi e cercare di non corromperli. L’Economista dovrebbe cercare di salvaguardare le istituzioni sociali che si sono sviluppate spontaneamente durante la cooperazione e l’attività umana. Istituzioni sociali come il denaro, le norme giuridiche e la morale. L’Economia ha più a che fare con la cooperazione sociale che non con i numeri. L’imprenditorialità è un processo creativo, non matematico.

Cosa si insegna invece A Scuola di Economia? Conoscenza scientifica. Utile per potenziare la conoscenza imprenditoriale, ma diversa. L’intelligenza di chi lavora è nella capacità di mettere in relazione cose diverse per creare un risultato che oggi non c’è.  Se fare l’imprenditore fosse una questione matematica, o scientifica,  non avremmo problemi economici e le università sfornerebbero ottimi capitani d’industria. Purtroppo questo non accade. All’università di Economia (non in tutte per fortuna) si studiano i libri sbagliati, ed escono persone immerse nelle loro teorie economiche, avulse da qualsiasi esperienza pratica sul mondo del lavoro e che si lamentano perché l’uomo è irrazionale. No cari signori, l’uomo è solamente imprevedibile!

Da queste diverse posizioni scientifiche nascono anche due approcci politici completamente diversi.

Chi pensa che l’uomo sia imprevedibilmente creativo, tende ad agevolare l’attività umana (in questo caso economica), e si limita a garantire l’integrità di tutti gli elementi che egli utilizza per le proprie finalità, perché nella collaborazione e nello scambio vi sia sempre e naturalmente intrinseco vantaggio reciproco.

Chi pensa che l’uomo sia prevedibilmente irrazionale tende ad intervenire nell’ambito economico modificando le istituzioni sociali che l’uomo si è creato spontaneamente. Facendo quelle che si chiamano “politiche economiche anticicliche”. Stampando per esempio denaro e mettendolo in circolo nei luoghi e nei metodi che più ritengono opportuni. Con tutta l’arroganza di chi pensa di aver capito tutto dall’alto. Meglio di milioni di cittadini che ogni giorno compiono delle scelte economiche.

Ecco perché i primi hanno ampiamente previsto la crisi odierna e i secondi no. Ecco perché gli economisti che ci governano non sapranno risolverla, e nel migliore dei casi riusciranno a posticipare un disastro già annunciato.